Sono un atleta paralimpico e dal 2013 mi occupo di disabilità e inclusione, avendo maturato diverse competenze nel settore, grazie alle svariate attività formative, organizzative e sportive a cui ho contribuito come organizzatore, relatore, coach, docente, oltre che come volontario. 
Mi sono specializzato in Politiche Sportive presso la Scuola Nazionale dello Sport del CONI e in Management Sportivo presso la SdS Coni Lombardia.
Mi occupo di ricerca, selezione e sviluppo di giovani talenti sportivi paralimpici per le Federazioni e Società Sportive Nazionali ed Internazionali, collaboro con enti pubblici e privati sulle “Best Practices” delle politiche sportive nello sviluppo del territorio, sono consulente e formatore sui temi di “Sport e disabilità” per il Servizio Nazionale per la Pastorale Disabili della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e collaboro con l’Ufficio Sport della Diocesi di Milano. 
Prima di diventare un atleta paralimpico, ho praticato tennistavolo a livello agonistico dai 6 ai 16 anni, vincendo anche due Campionati Provinciali Giovanili Fitet Novara, poi, dai 18 ai 28 anni, sport da combattimento (Kick Boxing, Savate, Thai boxe e “Lutte Contact”), ma non a livello agonistico.
Gli sport paralimpici che pratico sono tennistavolo e badminton, dei quali sono anche Tecnico Federale, e, naturalmente, sitting volley. Nei rispettivi campionati ho vinto un bronzo nel tennistavolo e nel sitting e un argento nel para badminton. 
Sono anche Vicepresidente della Pararafting Commission nella World Rafting Federation. Sono stato insignito della “Stella di Bronzo al Merito Sportivo Paralimpico” dal CIP (Comitato Italiano Paralimpico) per la diffusione della cultura paralimpica sul territorio nazionale.

Perché la pallavolo?

“Credo fermamente che lo sport sia in grado di insegnare ad affrontare le criticità e le difficoltà della vita, a misurarsi con se stessi e con gli altri, ci porta a conoscere e accettare i nostri limiti e ci permette di imparare dalle sconfitte. La pallavolo, in tutte le sue molteplici “forme”, mi ha insegnato in particolare il forte legame che si crea negli sport di squadra, dove davvero tutti sono importanti e devono dare il proprio contributo. È probabilmente l’unica disciplina sportiva totalmente inclusiva, che prevede competizioni per ogni tipologia di squadra… sia essa formata da atleti con disabilità e non, come il sitting volley, oppure composta da uomini e donne, come le squadre “miste”…. non fa differenze di status sociale, di razza, di religione, di deficit o meno…. in campo si gioca e si soffre, insieme, per un obiettivo comune.”