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TogglePerché parlare di inclusione
Inclusività è un concetto fondante di una società sana. Tanto che anche Ad Astra Volley ne ha fatto uno dei suoi valori centrali. Nel settore sportivo, uno dei temi più sentiti è l’inclusione degli atleti con disabilità. Si sono fatti molti passi in avanti negli ultimi anni: oggi, per esempio, le Paralimpiadi trovano molto più spazio sui media, a differenza di quanto accadeva prima, probabilmente grazie anche ai grandi risultati raggiunti da alcuni atleti. Eppure, le prime Paralimpiadi risalgono già al 1960, a Roma. Perciò è importante parlarne, per conoscere e far conoscere un mondo ancora in ombra.
Da medicina a competizione, lo sport come riabilitazione
Il ricorso allo sport come mezzo di riabilitazione fisica e psichica e di reinserimento nella società è cominciato ancora prima dell’inaugurazione paralimpica. Durante la Seconda Guerra Mondiale, grazie all’intuizione di un medico inglese, il neurochirurgo Ludwig Guttmann: con programmi di allenamento mirati e l’adattamento di alcune discipline sportive, riuscì a dare autonomia e una migliore qualità della vita a giovani soldati britannici rimasti invalidi durante il conflitto. In pochi anni, quelle discipline sportive si traformarono da pratica medica ad attività ricreative e poi agonistiche. Grazie a Guttmann, nel 1948 a Londra si svolsero gli “Stoke Mandeville Games”, le antenate delle attuali Paralimpiadi.
Sitting volley: un po’ di storia
Tra gli sport paralimpici che sono venuti alla ribalta c’è il sitting volley (o pallavolo paralimpica), un tipo di pallavolo che si pratica stando a contatto con il terreno, in un campo di dimensioni ridotte e utilizzando una rete un po’ più bassa rispetto a quella “canonica”. A parte alcune regole, è molto simile alla pallavolo per normodotati.
Il sitting volley è stato inserito ufficialmente tra le discipline nazionali nei Paesi Bassi, nel 1956, e le prime gare sono cominciate nel 1976. In Italia, ha iniziato a diffondersi all’inizio degli Anni 2000, arrivando alla costituzione della Nazionale maschile nel 2010.
Alle Paralimpiadi di Londra 2012, il mondo ha cominciato a conoscere questa disciplina sportiva, prima seguita da pochi appassionati e addetti ai lavori. Nel 2013 il sitting volley è entrato a far parte della Federazione Italiana Pallavolo, che comincia a promuoverlo. Grazie poi ai risultati ottenuti dalla Nazionale femminile nel 2018 ai Mondiali in Olanda, dove si è piazzata al quarto posto, e nel 2019, con una medaglia d’argento agli Europei in Ungheria, il sitting volley ha cominciato ad avere anche da noi la visibilità che merita.
Un’inclusività totale e reale
Se si limitasse a quanto detto finora, il sitting volley sarebbe uno dei tanti sport paraolimpici. Ma questa disciplina ha una marcia in più, qualcosa che la rende davvero unica e speciale: è realmente e totalmente inclusiva. Perché possono giocarci tutti, anche i normodotati, e possono farlo insieme agli altri, senza alcuna distinzione. Nei tornei amatoriali o nazionali possono giocare nella stessa squadra atleti con e senza disabilità, mentre alle competizioni internazionali e olimpiche possono partecipare soltanto atleti con disabilità certificate. La Fipav punta però molto su questo aspetto e intende in futuro promuoverlo proprio come sport inclusivo al 100 per cento.
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